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Gennaio 2024

Smart city: le applicazioni tecnologiche per città (sempre più) intelligenti

Francesca Del Bello

Arriva dal Laboratorio di Robotica e intelligenza artificiale di ENEA una coppia di sensori che permette l’analisi in tempo reale delle condizioni del manto stradale.
 
In principio era Rio de Janeiro: è a partire dal modello sperimentato all’ombra del Corcovado che si inizia a parlare di smart city. Era il “lontano” (per il tempo ultra-rapido dell’evoluzione tecnologica) 2010, quando la megalopoli brasiliana avvia un progetto per adottare soluzioni che, attraverso l’implementazione di tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni avanzate, intende avvicinare l’amministrazione locale ai cittadini, contribuendo a rendere la città più equa, più inclusiva e ad aumentarne complessivamente la qualità della vita. Un primo, importante esperimento che inaugura un percorso tutto in divenire, e con enormi potenzialità di sviluppo. Ma che cos’ è una smart city? Darne una definizione univoca non è semplice, dato che il dibattito degli ultimi anni ha prodotto una pluralità di approcci – che, in effetti, riflettono la complessità del tema. Utilizzeremo per praticità la definizione che ne dà la Commissione Europea in un articolo del 13 luglio 2022: “[u]na città intelligente è un luogo che integra i sistemi fisici, digitali e umani nelle reti e nei servizi tradizionali per utilizzare meglio le risorse energetiche e ridurre le emissioni a vantaggio dei cittadini e delle imprese.” Una definizione che, come spiega ancora la Commissione, oltrepassa il perimetro tecnologico e digitale per integrare la progettazione di edifici più efficienti da un punto di vista energetico, l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, lo sviluppo di reti di trasporto urbano più intelligenti, fino ad arrivare al potenziamento dell’approvvigionamento idrico e al miglioramento dei sistemi di smaltimento rifiuti. Un approccio sistemico e integrato, dunque, che pone al centro il cittadino e il suo benessere. E, soprattutto, un sistema molto meno fantascientifico di quanto appare, come dimostrano le città che sulla scia dell’esperienza di Rio stanno adottando un approccio di questo tipo: si va dalle esperienze europee in città come Londra, Parigi e Amsterdam, agli esempi statunitensi di New York e Washington, fino ad arrivare agli esempi asiatici di Tokyo o Singapore.

E l’Italia come si sta muovendo? Sebbene nel nostro Paese non siano ancora stati implementati modelli di efficienza paragonabili alle metropoli europee e globali citate sopra, anche nella nostra penisola iniziano a diffondersi esempi virtuosi. Fra le città italiane “altamente digitali” del 2023 spicca infatti il primato di Bergamo, seguito da Firenze e Milano – solo per citare il podio. Ma non sono solo le amministrazioni locali a muoversi: sono infatti aperti importanti progetti di ricerca e sviluppo che lavorano su tecnologie sempre più sofisticate da impiegare (anche) nell’ambito delle città smart. Ne è un esempio l’attività del Laboratorio di Robotica e intelligenza artificiale di ENEA, l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Nell’ambito del progetto Smart Road, a sua volta inserito nel programma “Ricerca di Sistema Elettrico” finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il Laboratorio ha infatti messo a punto dei sensori di ultima generazione dedicati ai veicoli elettrici (sia a guida autonoma che umana), in grado di monitorare la città rilevando lo stato del manto stradale. “L’idea di base è quella di veicoli a guida autonoma che fungano da sensori per misurare in modo capillare le condizioni della città e migliorare la sicurezza, i flussi di traffico e il comfort di guida, con benefici anche in termini di risparmio energetico e sostenibilità”, spiega Sergio Taraglio, ricercatore ENEA del Laboratorio di Robotica e intelligenza artificiale del Dipartimento Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili, e responsabile dell’attività. 
L’analisi avviene mediante l’utilizzo di due diversi sensori. Il primo, come spiega Taraglio, sfrutta la tecnologia LiDAR (Light Detection and Ranging) basata su un laser in grado di misurare con precisione le distanze geometriche del piano stradale: questo rileva qualsiasi deviazione (rappresentata ad esempio da una buca o da un dosso) che viene quindi segnalata sul display. Il secondo sensore sfrutta invece una telecamera che, montata frontalmente sul veicolo, analizza mediante l’intelligenza artificiale il flusso video acquisito, utilizzando una rete neurale profonda. Il secondo sensore è quindi in grado di rilevare tutti quegli oggetti che la tecnologia LiDAR non permetterebbe di acquisire, come fessurazioni a reticolo o i difetti nella segnaletica orizzontale, ad esempio.

Una volta acquisite le informazioni – che vengono geolocalizzate e raccolte in tempo reale – queste vengono inviate al gestore della smart city per mappare le condizioni stradali e permettere di pianificare le riparazioni.
Ma non solo: sui veicoli autonomi utilizzati per la sperimentazione, il Laboratorio sta inoltre sviluppando un sistema per l’analisi del contesto sonoro, con un duplice obiettivo: “da un lato misurare l’inquinamento sonoro, dall’altro permettere al veicolo autonomo di poter utilizzare le informazioni sonore per la gestione di situazioni di potenziale pericolo: ad esempio in caso di avvicinamento di un mezzo di soccorso, il veicolo deve essere in grado di riconoscere la situazione e liberare la carreggiata per quanto possibile”, commenta ancora Taraglio.
Un progetto, quello di ENEA, che rappresenta bene il potenziale di sviluppo delle tante tecnologie che ruotano attorno alle smart city. Un potenziale che però, per essere sfruttato al meglio, necessita di un approccio sistemico e strategico all’analisi dell’enorme quantità di dati raccolti – con tutte le zone d’ombra che questo approccio ancora comporta.





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