Componentistica auto, open innovation e ricerca sono la chiave per la competitività
di Dino Collazzo
Il settore della componentistica automotive italiana torna a crescere. Ma per diventare davvero competitivi in ambito internazionale occorrono idee, investimenti in ricerca e sviluppo e un modello open innovation. Passata la tempesta della crisi, che ha eroso ricavi e cancellato posti lavoro, le imprese rimaste in piedi hanno adottato nuove strategie per ritornare a realizzare utili. Diversificazione di clientela e mercati ed export sono stati i fattori determinati di questo rilancio. Complice anche la ripresa dell’economia a livello mondiale – nel complesso l’Italia è ancora troppo lenta rispetto agli altri Paesi europei – il mercato dell’automotive italiano ha chiuso il 2017 con quasi 2 milioni di veicoli immatricolati e una filiera che torna a godere di buona salute. Questo comparto, infatti, ha generato un fatturato complessivo di 57,2 miliardi di euro, di cui 40 riconducibili proprio alla filiera automotive.
In questo contesto il 2018 si preannuncia come l’anno della svolta, non tanto per volumi e fatturati – difficilmente si tornerà ai livelli pre-crisi –, quanto per capacità di investire in innovazione: specie quella di processo e prodotto. E per tenere il passo con i competitor internazionali la componentistica italiana deve imparare a combinare insieme il valore delle risorse “in-house” con quelle “outsourcing”.
L’auto, con il suo carico di novità, è sempre più un sistema complesso e sofisticato. E con l’andare del tempo la sua costruzione richiederà conoscenze specifiche e componenti con un elevato grado di tecnologia. Il che porterà le imprese della filiera a lavorare su materiali più complessi, a migliorare i sistemi di alimentazione, a sviluppare nuovi motori e potenziare l’elettronica. Secondo uno studio realizzato da Roland Berger e Lazard – Global Automotive Supplier Study 2018 – mobilità condivisa, guida autonoma, digitalizzazione ed elettrificazione sono i 4 megatrend che giocheranno un ruolo determinante nello sviluppo del mercato automobilistico nel prossimo futuro. Gli operatori della componentistica quindi dovranno prepararsi per trasformare i loro modelli di business esistenti: così da riuscire a cogliere le opportunità derivanti da queste tendenze. Ma, affrontare questa sfida facendo ricorso solo alle proprie risorse, rischia di rivelarsi controproducente per le imprese che vogliono, attraverso l’innovazione, conquistare nuovi mercati. Ecco perché, come ha evidenziato anche l’Anfia nel suo ultimo rapporto sul settore – Osservatorio sulla componentistica automotive italiana 2017 – , occorre che gli operatori della filiera si aprano alla possibilità di forme collaborative tra loro. Attraverso contratti di rete, non solo verticali – fornitori e clienti – ma anche orizzontali – tra competitor –. Le aziende devono realizzare delle partnership il cui scopo è di progredire nelle loro competenze tecnologiche. Si tratta in pratica di puntare sull’open innovation, su cui ci muoviamo con lentezza.
Per gli analisti dell’Anfia, le aziende della componentistica, anche se orientate all’innovazione, incontrano ancora troppa difficoltà nel reperimento delle risorse umane, economiche e finanziarie da impiegare nel progresso tecnologico. Destinando così al reparto ricerca e sviluppo proventi più contenuti rispetto ai competitor europei. Analizzando nel dettaglio tutte le categorie del comparto, quelle più attive nel campo dell’innovazione – sia di prodotto che e di processo – sono state: i sistemisti e modulisti, gli specialisti, le aziende del settore aftermarket e quelle di engineering e design. In tutti questi casi però l’incremento e il miglioramento tecnologico è avvenuto attraverso attività autonome – innovazione in-house –, mettendo a valore conoscenze e competenze interne all’azienda. Un percorso evolutivo che nel lungo periodo incontra il suo limite proprio nella reperibilità di risorse finanziaria e umane. E che invece la capacità di sfruttare l’open innovation permetterebbe di superare: in quanto consentirebbe di accedere a risorse complementari e sinergiche possedute da altri potenziali partner. Non è un caso se, come evidenziato dalla ricerca dell’Anfia, le aziende che hanno fatto scelte di open innovation hanno poi ottenuto riscontri positivi in termini di: riduzione dei costi, miglioramento delle performance economiche e ingresso in nuovi mercati. È dunque sulla capacità di sviluppare processi d’innovazione in collaborazione con altre imprese della filiera, sul valore del proprio know how e sugli investimenti in ricerca e sviluppo che il mondo della componentistica italiana si giocherà la propria presenza in quella che si annuncia come: la nuova primavera dell’auto.