Smart mobility: le infrastrutture intelligenti sono la vera sfida per le connected car
di Dino Collazzo
Non solo una comunicazione tra veicoli ma anche tra questi e il mondo circostante. Reti wi-fi lungo i percorsi stradali, tecnologie per il 5G, cartelli segnaletici e semafori intelligenti sono gli elementi che consentiranno di realizzare la digital trasformation della mobilità. Il primo step di questo cambiamento è fissato al 2019. Ma oggi a che punto siamo?
Per realizzare la smart mobility le auto intelligenti non bastano. A collaborare con veicoli connessi e a guida autonoma servono anche infrastrutture capaci di interagire con loro. Dotare di una dimensione digitale la viabilità è il primo passo verso questo cambiamento. E per farlo serve trasformare le opere esistenti in oggetti dinamici, attraverso l’installazione di sensori e sistemi innovativi. Reti wi-fi lungo i percorsi stradali, tecnologie per il 5G, cartelli segnaletici e semafori intelligenti sono gli elementi che consentiranno di realizzare una sempre più efficace comunicazione tra veicoli e tra gli stessi e le infrastrutture circostanti. Quest’idea di digital trasformation non è così lontana dal realizzarsi, tanto che oggi può già dare i suoi primi frutti grazie agli smartphone. È infatti su questi oggetti che le aziende dell’automotive e del mondo dell’hi-tech stanno puntando per migliorare i servizi a bordo e di comunicazione con l’esterno. Un esempio è dato dalla possibilità di consentire al guidatore di recapitare in tempo reale informazioni dettagliate e personalizzate per monitorare i suoi spostamenti (indicazione di percorsi alternativi, presenza di situazioni di pericolo o di distributori di carburante).
Ma, per riuscire a realizzare spostamenti più veloci e sostenibili, così da decongestionare il traffico nelle città, serve investire in progetti innovativi. E in questo caso, oltre all’industria delle quattro ruote e alle numerose startup dell’Ict attive in questo business, entra in gioco un altro soggetto: l’istituzione pubblica. Ai governi nazionali spetta il compito di ripensare l’interno sistema della viabilità, della rete ferroviaria, dei trasporti marittimi e aerei. Muovendo la leva degli investimenti, devono dare l’input per ammodernare le infrastrutture indirizzandole verso un elevato livello di digitalizzazione. Proprio su questa linea si sta muovendo da un po’ di tempo la Commisione europea. Lo scorso anno, infatti, ha approvato una strategia per realizzare i “sistemi di trasporto intelligenti cooperativi”. Si tratta della prima tappa di un percorso il cui orizzonte è una mobilità cooperativa, connessa e automatizzata (C-Its:European strategy on cooperative intelligent transport systems). L’intenzione dell’Unione europea è di realizzare una rete infrastrutturale intelligente e sicura e per farlo ha scelto di puntare sulla connettività (internet of things e comunicazioni via 5G) e la cooperazione tra i costruttori. In questo modo si supporta la diffusione dei sistemi C-Its, si garantisce la continuità nel passaggio tra Stati membri, si evita di frammentare il mercato con standard differenti e si creano sinergie tra diverse iniziative. Un modello di trasporto che riguarda persone e merci (si pensi ai corridoi intermodali Ten-T). Tutto questo per arrivare alla fine ad assicurare l’interoperabilità dei sistemi a tutti i livelli: infrastrutture, dati, servizi, applicazioni e reti. A partire dal 2018 saranno introdotte le prime leggi ad hoc per lo sviluppo del C-Its, a cominciare delle linee guida sulla protezione della privacy, per poi arrivare a mettere in funzione il sistema entro il 2019.
In questo contesto generale l’Italia ha da poco avviato un programma per l’upgrading tecnologico della sua viabilità. Un investimento indispensabile se si vuole ammodernare una rete infrastrutturale che nel suo complesso è molto datata. Su 6.844 chilometri di autostrade la prima generazione è stata realizzata tra il 1924 e 1935 (436 km) mentre la restante parte risale agli anni ‘60 e ‘70. Solo il 10% è stato costruito negli ultimi 25 anni. Ancora più vetusta è la rete extraurbana di interesse nazionale (19.894 km) realizzata, nella maggior parte dei casi, prima di quella autostradale (meno del 13% ha un’età inferiore ai 25 anni). La necessità di un refresh, fisico e tecnologico, è dunque fondamentale. E il primo effetto di questo aggiornamento sarebbe quello di garantire una maggiore sicurezza sulle strade. Il ricorso all’uso di innovazioni digitali rappresenta inoltre un fattore determinante per la crescita economica, sostenibile e intelligente del Paese. Riuscire a colmare il digital divide che esiste tra diverse reti stradali contribuirebbe a determinare un ecosistema tecnologico favorevole allo sviluppo di diversi settori industriali.
Ma, per riuscire a realizzare spostamenti più veloci e sostenibili, così da decongestionare il traffico nelle città, serve investire in progetti innovativi. E in questo caso, oltre all’industria delle quattro ruote e alle numerose startup dell’Ict attive in questo business, entra in gioco un altro soggetto: l’istituzione pubblica. Ai governi nazionali spetta il compito di ripensare l’interno sistema della viabilità, della rete ferroviaria, dei trasporti marittimi e aerei. Muovendo la leva degli investimenti, devono dare l’input per ammodernare le infrastrutture indirizzandole verso un elevato livello di digitalizzazione. Proprio su questa linea si sta muovendo da un po’ di tempo la Commisione europea. Lo scorso anno, infatti, ha approvato una strategia per realizzare i “sistemi di trasporto intelligenti cooperativi”. Si tratta della prima tappa di un percorso il cui orizzonte è una mobilità cooperativa, connessa e automatizzata (C-Its:European strategy on cooperative intelligent transport systems). L’intenzione dell’Unione europea è di realizzare una rete infrastrutturale intelligente e sicura e per farlo ha scelto di puntare sulla connettività (internet of things e comunicazioni via 5G) e la cooperazione tra i costruttori. In questo modo si supporta la diffusione dei sistemi C-Its, si garantisce la continuità nel passaggio tra Stati membri, si evita di frammentare il mercato con standard differenti e si creano sinergie tra diverse iniziative. Un modello di trasporto che riguarda persone e merci (si pensi ai corridoi intermodali Ten-T). Tutto questo per arrivare alla fine ad assicurare l’interoperabilità dei sistemi a tutti i livelli: infrastrutture, dati, servizi, applicazioni e reti. A partire dal 2018 saranno introdotte le prime leggi ad hoc per lo sviluppo del C-Its, a cominciare delle linee guida sulla protezione della privacy, per poi arrivare a mettere in funzione il sistema entro il 2019.
In questo contesto generale l’Italia ha da poco avviato un programma per l’upgrading tecnologico della sua viabilità. Un investimento indispensabile se si vuole ammodernare una rete infrastrutturale che nel suo complesso è molto datata. Su 6.844 chilometri di autostrade la prima generazione è stata realizzata tra il 1924 e 1935 (436 km) mentre la restante parte risale agli anni ‘60 e ‘70. Solo il 10% è stato costruito negli ultimi 25 anni. Ancora più vetusta è la rete extraurbana di interesse nazionale (19.894 km) realizzata, nella maggior parte dei casi, prima di quella autostradale (meno del 13% ha un’età inferiore ai 25 anni). La necessità di un refresh, fisico e tecnologico, è dunque fondamentale. E il primo effetto di questo aggiornamento sarebbe quello di garantire una maggiore sicurezza sulle strade. Il ricorso all’uso di innovazioni digitali rappresenta inoltre un fattore determinante per la crescita economica, sostenibile e intelligente del Paese. Riuscire a colmare il digital divide che esiste tra diverse reti stradali contribuirebbe a determinare un ecosistema tecnologico favorevole allo sviluppo di diversi settori industriali.