Auto elettrica, manca ancora un miglio per la svolta “green”
di Dino Collazzo
La rivoluzione della e-mobility è sempre più realtà. Ma per avere veicoli completamente sostenibili non basta azzerare le emissioni su strada, occorre agire anche sui processi produttivi della loro fabbricazione e il riciclaggio delle batterie. Tre le incognite da affrontare.
L’auto elettrica guida la rivoluzione della e-mobility. Ma perché si possa arrivare a una diffusione di massa di questi veicoli e parlare davvero di svolta “green” nel settore della mobilità, bisogna sciogliere alcuni nodi. Dispendio di energia nell’assemblaggio delle batterie, uso di materie prime come litio e cobalto – considerate scarse ed estratte spesso con metodi inquinanti – e aumento della domanda di elettricità per ricaricarle: sono le tre incognite legate al ciclo produttivo dei veicoli elettrici che se non risolte rischiano di vanificare gli effetti positivi delle basse emissioni legati al loro uso.
Le auto a propulsione elettrica presenti oggi sulle strade di tutto il mondo (comprese sia quelle interamente elettriche che le cosiddette plug-in) sono lo 0,15 per cento – si tratta di 2 milioni di veicoli su un parco circolante di 1,3 miliardi, secondo ANFIA. Un dato destinato a crescere rapidamente. Stando a una ricerca realizzata da Bloomberg New Energy Finance, intervistando diversi analisti del settore, la caduta dei costi delle batterie entro il 2030 porterà a un calo di quello dei veicoli, che rappresenteranno il 54 per cento delle nuove vendite a livello mondiale entro il 2040. La e-mobility rappresenta dunque un business in forte espansione. Ma per riuscire a conquistare quote di mercato i diversi player in gioco dovranno investire in ricerca e sviluppo, mettendo in campo idee innovative e risorse indispensabili a realizzarle.
Il mercato delle batterie
Il mercato delle batterie – che secondo Transparency market research varrà 77 miliardi di dollari nel 2024 – rappresenta la sfida maggiore che attende il mondo dell’automotive. È qui che si gioca il successo dell’auto elettrica, una partita che vale centinaia di miliardi di dollari e nella quale sono coinvolti diversi player. Dalle case automobilistiche alle aziende della componentistica passando per il mondo dell’hi-tech che proprio sulla costruzione delle batterie spera di incrementare i propri affari. Un business che deve però tener conto anche dell’aspetto “green” che queste quattro ruote rappresentano. Infatti, se dal lato delle emissioni su strada i veicoli elettrici battono quelli a combustione, è lungo la filiera produttiva che la sostenibilità mostra qualche falla. Il primo elemento da tenere in considerazione è la reperibilità dei materiali necessari a costruire le batterie: come nel caso del litio e del cobalto. Due metalli, abbondante il primo e molto raro il secondo, la cui estrazione avviene spesso con metodi inquinanti e in paesi in cui non sono rispettati i diritti umani.
La metà di tutto il litio del mondo si trova tra Cile, Argentina e Bolivia mentre il cobalto arriva dalle ricche miniere del Congo. La corsa ad accaparrarsi questi metalli ha spinto all’insù le loro quotazioni e indotto le società minerarie ad andare alla ricerca di nuovi depositi. Mentre le case automobilistiche stanno tentando di aggiudicarsi forniture che potrebbero presto rivelarsi insufficienti. Un aspetto quest’ultimo che ha acceso una spia rossa sull’approvvigionamento e che invece con una visione industriale di lungo periodo potrebbe trasformarsi in un’opportunità di business per chi sarà pronto a coglierla. Le miniere di litio non sono ancora in riserva ma se la domanda dovesse crescere a dismisura, progettare ora un efficace ciclo di riciclaggio dalle batterie esauste – auto, smartphone e computer – potrebbe rivelarsi un’intuizione redditizia. Da tempo il mondo della ricerca sta sperimentando metodi innovativi per recuperare litio e cobalto.
In Italia i ricercatori del Cnr nei loro laboratori sono riusciti a passare da trattamenti di separazione dei metalli mediante pirolisi – molto costoso e dannoso per l’ambiente per via di gas tossici rilasciati – a sistemi a bassa temperatura e meno inquinanti, in grado di far risparmiare diverse migliaia di euro per tonnellata di rifiuti. Esperimenti simili si vanno moltiplicando anche in altri laboratori e c’è chi sta pensando a iniziative industriali basandosi su questi risultati. Startup innovative a cui le aziende dell’automotive e dell’aftermarket dovrebbero garantire sostegno così da avere in casa il necessario per realizzare auto elettriche e rimanere competitivi quando le risorse naturali inizieranno ad assottigliarsi.
Il fabbisogno energetico
L’altra incognita sulla diffusione dell’auto elettrica è il suo essere o meno energivora. In questo caso bisogna distinguere due differenti ambiti: la fase di costruzione e quello di messa su strada. Nel primo caso uno studio realizzato dall’ADEME (Agenzia per l’ambiente e la gestione dell’energia francese) spiega che, anche se l’e-car ha un eccellente rendimento energetico quando viene utilizzata – consente di ridurre la dipendenza dal petrolio e le emissioni in atmosfera –, l’unico svantaggio in termini ambientali è nel processo di fabbricazione. In particolare durante l’assemblaggio delle batterie, il momento in cui viene impiegata maggiore potenza per lavorare i materiali all’interno di forni a 400 gradi. Un inconveniente su cui lavorano da tempo diversi ricercatori: allo scopo di sviluppare dei metodi di sintesi che agiscano a temperature più basse.
Di tutt’altro impatto è invece la sostenibilità dei veicoli elettrici quando si muovono sulla strada. Ai ritmi di penetrazione attuale del mercato non sembrano profilarsi problemi legati alla domanda di energia necessaria a ricaricare le batterie. Ma in uno scenario in cui i motori a scossa dovessero superare quelli termici bisognerà trovare delle soluzioni che soddisfino l’aumento delle richieste. Infrastrutture adeguate per la ricarica smart, batterie più efficienti, investimenti in innovazioni, ricorso a fonti rinnovabili e una politica energetica più attenta. Solo così si potrà evitare il paradosso che a sostenere la e-mobility sia energia derivante da impianti alimentati con combustibili fossili.
Le auto a propulsione elettrica presenti oggi sulle strade di tutto il mondo (comprese sia quelle interamente elettriche che le cosiddette plug-in) sono lo 0,15 per cento – si tratta di 2 milioni di veicoli su un parco circolante di 1,3 miliardi, secondo ANFIA. Un dato destinato a crescere rapidamente. Stando a una ricerca realizzata da Bloomberg New Energy Finance, intervistando diversi analisti del settore, la caduta dei costi delle batterie entro il 2030 porterà a un calo di quello dei veicoli, che rappresenteranno il 54 per cento delle nuove vendite a livello mondiale entro il 2040. La e-mobility rappresenta dunque un business in forte espansione. Ma per riuscire a conquistare quote di mercato i diversi player in gioco dovranno investire in ricerca e sviluppo, mettendo in campo idee innovative e risorse indispensabili a realizzarle.
Il mercato delle batterie
Il mercato delle batterie – che secondo Transparency market research varrà 77 miliardi di dollari nel 2024 – rappresenta la sfida maggiore che attende il mondo dell’automotive. È qui che si gioca il successo dell’auto elettrica, una partita che vale centinaia di miliardi di dollari e nella quale sono coinvolti diversi player. Dalle case automobilistiche alle aziende della componentistica passando per il mondo dell’hi-tech che proprio sulla costruzione delle batterie spera di incrementare i propri affari. Un business che deve però tener conto anche dell’aspetto “green” che queste quattro ruote rappresentano. Infatti, se dal lato delle emissioni su strada i veicoli elettrici battono quelli a combustione, è lungo la filiera produttiva che la sostenibilità mostra qualche falla. Il primo elemento da tenere in considerazione è la reperibilità dei materiali necessari a costruire le batterie: come nel caso del litio e del cobalto. Due metalli, abbondante il primo e molto raro il secondo, la cui estrazione avviene spesso con metodi inquinanti e in paesi in cui non sono rispettati i diritti umani.
La metà di tutto il litio del mondo si trova tra Cile, Argentina e Bolivia mentre il cobalto arriva dalle ricche miniere del Congo. La corsa ad accaparrarsi questi metalli ha spinto all’insù le loro quotazioni e indotto le società minerarie ad andare alla ricerca di nuovi depositi. Mentre le case automobilistiche stanno tentando di aggiudicarsi forniture che potrebbero presto rivelarsi insufficienti. Un aspetto quest’ultimo che ha acceso una spia rossa sull’approvvigionamento e che invece con una visione industriale di lungo periodo potrebbe trasformarsi in un’opportunità di business per chi sarà pronto a coglierla. Le miniere di litio non sono ancora in riserva ma se la domanda dovesse crescere a dismisura, progettare ora un efficace ciclo di riciclaggio dalle batterie esauste – auto, smartphone e computer – potrebbe rivelarsi un’intuizione redditizia. Da tempo il mondo della ricerca sta sperimentando metodi innovativi per recuperare litio e cobalto.
In Italia i ricercatori del Cnr nei loro laboratori sono riusciti a passare da trattamenti di separazione dei metalli mediante pirolisi – molto costoso e dannoso per l’ambiente per via di gas tossici rilasciati – a sistemi a bassa temperatura e meno inquinanti, in grado di far risparmiare diverse migliaia di euro per tonnellata di rifiuti. Esperimenti simili si vanno moltiplicando anche in altri laboratori e c’è chi sta pensando a iniziative industriali basandosi su questi risultati. Startup innovative a cui le aziende dell’automotive e dell’aftermarket dovrebbero garantire sostegno così da avere in casa il necessario per realizzare auto elettriche e rimanere competitivi quando le risorse naturali inizieranno ad assottigliarsi.
Il fabbisogno energetico
L’altra incognita sulla diffusione dell’auto elettrica è il suo essere o meno energivora. In questo caso bisogna distinguere due differenti ambiti: la fase di costruzione e quello di messa su strada. Nel primo caso uno studio realizzato dall’ADEME (Agenzia per l’ambiente e la gestione dell’energia francese) spiega che, anche se l’e-car ha un eccellente rendimento energetico quando viene utilizzata – consente di ridurre la dipendenza dal petrolio e le emissioni in atmosfera –, l’unico svantaggio in termini ambientali è nel processo di fabbricazione. In particolare durante l’assemblaggio delle batterie, il momento in cui viene impiegata maggiore potenza per lavorare i materiali all’interno di forni a 400 gradi. Un inconveniente su cui lavorano da tempo diversi ricercatori: allo scopo di sviluppare dei metodi di sintesi che agiscano a temperature più basse.
Di tutt’altro impatto è invece la sostenibilità dei veicoli elettrici quando si muovono sulla strada. Ai ritmi di penetrazione attuale del mercato non sembrano profilarsi problemi legati alla domanda di energia necessaria a ricaricare le batterie. Ma in uno scenario in cui i motori a scossa dovessero superare quelli termici bisognerà trovare delle soluzioni che soddisfino l’aumento delle richieste. Infrastrutture adeguate per la ricarica smart, batterie più efficienti, investimenti in innovazioni, ricorso a fonti rinnovabili e una politica energetica più attenta. Solo così si potrà evitare il paradosso che a sostenere la e-mobility sia energia derivante da impianti alimentati con combustibili fossili.