La Ue mette al bando le automobili termiche dal 2035, a rischio il 6,2% del PIL
Simonluca Pini – Contributor Editor de Il Sole 24 Ore
La proposta contenuta all’interno di “Fit for 55” metterebbe la parola fine alla vendita di veicoli benzina, diesel, gpl, metano e anche ibridi o plug-in
2035. Tra poco meno di 15 anni sarà impossibile acquistare una vettura nuova con motorizzazione termica, anche se in versione ibrida o alimentata. Con questa decisione l’Unione europea vuole bloccare definitivamente la vendita di milioni di auto in Europa. Con la proposta contenuta all’interno di “Fit for 55”, la Ue nel 2035 intende mettere la parola fine alla vendita di veicoli benzina, diesel, gpl, metano e anche ibridi o plug-in. Solo elettrico o idrogeno, nonostante a oggi i punti di ricarica siamo estremamente rari e in Italia sia presente un solo distributore di idrogeno. Il motivo di questa scelta radicale? La lotta alla CO2, ovvero il contenimento dell’anidride carbonica emessa nell’atmosfera. L'Unione europea chiederà agli Stati membri un potenziamento della rete di ricarica e l'installazione di punti di rifornimento a intervalli regolari sulle principali autostrade: ogni 60 chilometri per le elettriche e ogni 150 chilometri per l'idrogeno. L’obiettivo sarà raggiunto gradualmente e sarà accompagnato dalla creazione di un nuovo mercato della CO2 per il trasporto su gomma e per gli edifici. Gli introiti finiranno in un fondo sociale per il clima, dal valore stimato di 70 miliardi in 7 anni, con cui l’Ue potrebbe cofinanziare al 50% regimi di incentivazione nazionale per l’acquisto di auto a zero emissioni e la riqualificazione energetica degli edifici. “Il principio è semplice: l’emissione di CO2 deve avere un prezzo; un prezzo sulla CO2 che incentivi consumatori, produttori e innovatori a scegliere le tecnologie neutrali, per andare verso prodotti puliti e sostenibili”, ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans ha affermato che se non si agisce subito, “falliremmo con i nostri figli e nipoti, che a mio avviso, se non lo risolviamo, combatteranno guerre per l’acqua e il cibo”.
Un cambiamento così radicale comporterà nuove problematiche, come l’approvvigionamento di energia dato che l’elettricità va prodotta e genera inquinamento se non derivante da fonti completamente rinnovabili. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, Iea, i combustibili fossili sono ancora le fonti energetiche dominanti per la produzione di elettricità. Il carbone ha costituito il 34% e il gas il 25% della produzione globale nel 2020, mentre le rinnovabili e il nucleare insieme ha rappresentato il 37%, rispetto al 32% del 2015. Si stima quindi che le emissioni di CO2 nel settore della produzione di energia elettrica, diminuite sia nel 2019 che nel 2020, aumenteranno del 3,5% nel 2021 e del 2,5% nel 2022. Oltre ai dubbi in materia ambientale, la scelta di abbandonare i motori termici anche elettrificati comporterà gravi conseguenze anche a livello economico. Come ricordato da Paolo Scudieri, presidente di Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica). “La filiera produttiva automotive italiana è un settore trainante dell’economia. Con oltre 5.500 imprese e 278.000 addetti fattura 106 miliardi di euro l’anno e vale il 6,2% del Pil. È il settore industriale con il più alto moltiplicatore di valore aggiunto e dà un contributo annuale all’erario superiore ai 76 miliardi di euro di gettito fiscale.” Ha questo si aggiunge un lungo elenco di danni collaterali. “Infatti – come ricorda Scudieri – la nostra componentistica ha da oltre 20 anni un saldo attivo della bilancia commerciale superiore ai 5 miliardi di euro l’anno. Scegliere di perdere nei prossimi anni aziende e occupati nel nostro settore, avrà conseguenze significative anche per le numerose filiere strettamente connesse, come quella dei macchinari e delle fonderie, con impatti non trascurabili sulla nostra economia. L’entità dello sforzo richiesto alla nostra industria – che si somma a quelli già affrontati negli ultimi 20 anni per l’abbattimento delle emissioni, dettati da esigenti normative europee – e gli impatti che scelte così nette comporteranno sul tessuto sociale ed economico europeo e italiano, non sono commisurabili ai risultati attesi, se si considera che le emissioni di CO2 derivanti dalle sole auto circolanti in Europa sono circa l’1% delle emissioni mondiali”. Tante le domande e gli interrogativi arrivati anche da Mauro Severi, presidente di Aica (Associazione italiana costruttori autoattrezzature), che pone l’attenzione su come “le aziende del comparto si stanno riprendendo ora dopo un periodo estremamente difficile e con questa notizia è impossibile fare programmazione a lungo termine per il clima di incertezza creato. A questo si aggiunge come l’automobile continui a essere bersaglio di amministrazioni e autorità, nonostante gli investimenti multi milionari in materia di sostenibilità”. Severi sottolinea il rischio per molte aziende del settore: “chi è legato alle motorizzazioni termiche, dovrà capire come rinnovare la propria offerta per non soccombere a causa delle decisioni prese dalla Ue”.
Un cambiamento così radicale comporterà nuove problematiche, come l’approvvigionamento di energia dato che l’elettricità va prodotta e genera inquinamento se non derivante da fonti completamente rinnovabili. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, Iea, i combustibili fossili sono ancora le fonti energetiche dominanti per la produzione di elettricità. Il carbone ha costituito il 34% e il gas il 25% della produzione globale nel 2020, mentre le rinnovabili e il nucleare insieme ha rappresentato il 37%, rispetto al 32% del 2015. Si stima quindi che le emissioni di CO2 nel settore della produzione di energia elettrica, diminuite sia nel 2019 che nel 2020, aumenteranno del 3,5% nel 2021 e del 2,5% nel 2022. Oltre ai dubbi in materia ambientale, la scelta di abbandonare i motori termici anche elettrificati comporterà gravi conseguenze anche a livello economico. Come ricordato da Paolo Scudieri, presidente di Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica). “La filiera produttiva automotive italiana è un settore trainante dell’economia. Con oltre 5.500 imprese e 278.000 addetti fattura 106 miliardi di euro l’anno e vale il 6,2% del Pil. È il settore industriale con il più alto moltiplicatore di valore aggiunto e dà un contributo annuale all’erario superiore ai 76 miliardi di euro di gettito fiscale.” Ha questo si aggiunge un lungo elenco di danni collaterali. “Infatti – come ricorda Scudieri – la nostra componentistica ha da oltre 20 anni un saldo attivo della bilancia commerciale superiore ai 5 miliardi di euro l’anno. Scegliere di perdere nei prossimi anni aziende e occupati nel nostro settore, avrà conseguenze significative anche per le numerose filiere strettamente connesse, come quella dei macchinari e delle fonderie, con impatti non trascurabili sulla nostra economia. L’entità dello sforzo richiesto alla nostra industria – che si somma a quelli già affrontati negli ultimi 20 anni per l’abbattimento delle emissioni, dettati da esigenti normative europee – e gli impatti che scelte così nette comporteranno sul tessuto sociale ed economico europeo e italiano, non sono commisurabili ai risultati attesi, se si considera che le emissioni di CO2 derivanti dalle sole auto circolanti in Europa sono circa l’1% delle emissioni mondiali”. Tante le domande e gli interrogativi arrivati anche da Mauro Severi, presidente di Aica (Associazione italiana costruttori autoattrezzature), che pone l’attenzione su come “le aziende del comparto si stanno riprendendo ora dopo un periodo estremamente difficile e con questa notizia è impossibile fare programmazione a lungo termine per il clima di incertezza creato. A questo si aggiunge come l’automobile continui a essere bersaglio di amministrazioni e autorità, nonostante gli investimenti multi milionari in materia di sostenibilità”. Severi sottolinea il rischio per molte aziende del settore: “chi è legato alle motorizzazioni termiche, dovrà capire come rinnovare la propria offerta per non soccombere a causa delle decisioni prese dalla Ue”.