Automotive, i 3 fattori che stanno cambiando le quattro ruote
di Dino Collazzo
Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e dell’internet of things, connesso alla crescente voglia una mobilità condivisa ed ecologica sono le tendenze che porteranno a una nuova primavera nell’industria automobilistica. Una rivoluzione che vede a fianco a produttori, Oem tradizionali e Iam, anche statup innovative e multinazionali dell’hi-tech. Tutti in corsa per accaparrarsi una fetta questo nuovo business.
Il mondo dell’automotive cambia pelle. Nei prossimi anni i veicoli in circolazione avranno un profilo e delle funzioni molto diverse da quelle attuali, diventando veri e propri concentrati do innovazione. A traghettare l’auto verso il futuro è lo sviluppo tecnologico: una trasformazione digitale che influisce sui processi produttivi, sulla creazione dei modelli, sempre più smart, e sulle abitudini dei consumatori, più propensi agli acquisti online. A rivoluzionare l’industria automobilistica e il settore dell’aftermarket saranno: intelligenza artificiale, internet of things e sharing mobility. Si tratta di un nuovo modello di business su cui, affianco ai player tradizionali del settore, hanno iniziato a investire diverse multinazionali del mondo dell’hi-tech. Tutti a caccia di progetti e servizi innovativi da finanziare o acquistare e che, il più delle volte, sono il frutto del lavoro di ricerca di startup all’avanguardia nel campo tecnologico.
Intelligenza artificiale (Ai)
Quando si pensa all’intelligenza artificiale in campo automotive la prima cosa che viene in mente sono le driverless car. Le automobili in grado di guidarsi da sole senza nessun tipo d’intervento sul volante da parte del conducente, ridotto in questo caso a semplice passeggero. Per ora si tratta di prototipi ancora in fase di sperimentazione. Tanto che prima di vedere per strada modelli di questo tipo dovrà passare ancora molto tempo. In compenso diversi produttori stanno sfruttando l’Ai per migliorare software e servizi già installati a bordo dando all’auto un cervello elettronico che impara, ragiona e predice pericoli e guasti. Un business che arricchirà il portafoglio clienti delle case automobilistiche e della sua filiera. Producendo delle ricadute anche sulle aziende dell’aftermarket indipendente e sul mondo degli autoriparatori, grazie alla manutenzione predittiva. Attualmente lo sviluppo dell’Ai in campo automotive è concentrato sui servizi di assistenza alla guida. Parliamo di freni automatici, sistemi per evitare collisioni, per segnalare la presenza di pedoni o ciclisti, per monitorare il traffico o per cercare parcheggio. Fino ad arrivare alla creazione di cruscotti intelligenti in grado di comunicare al conducente anomalie e guasti prima ancora che accadano. Una novità, quest’ultima, frutto della ricerca nel campo del “machine learning” (apprendimento automatico delle macchine). La presenza però di un cervello elettronico non si limita solo a quanto detto fino a ora. Infatti, grazie al cloud computing, una piattaforma che consente di elaborare, archiviare e memorizzare dati utilizzando risorse hardware e software distribuite nella rete, l’auto potrà segnalarci punti d’interesse, distributori di carburante, negozi e ristoranti. Il tutto personalizzato sulle nostre abitudini e preferenze.
Internet of things (Iot)
L’altra faccia dello sviluppo dell’Ai sulle auto è l’internet of things. Il mercato delle connected car è in forte espansione e si stima che nel 2020 oltre 250 milioni di veicoli saranno connessi. I nuovi modelli in circolazione saranno dotati di sensori, applicazioni e funzioni in grado di interagire con il mondo esterno. E questo grazie anche a infrastrutture, come le autostrade, dotate di wi-fi e coperte dal segnale 5G, semafori capaci di dialogare con gli automobilisti avvertendoli in caso di ingorghi e sistemi che segnalano le infrazioni. Mentre chi si trova all’interno dell’auto potrà inviare email, compiere acquisti online, fare ricerche su internet e accedere alle app del proprio smartphone attraverso comandi vocali. Si tratta di un mercato in cui la domanda di veicoli smart cresce ogni giorno di più, tanto che diversi analisti stimano che nel 2018 varrà 40 miliardi di euro. Lo scopo di questa tecnologia è di tenere le persone sempre connesse e al contempo di rendere sicuri i loro spostamenti. Ne è un esempio proprio la comunicazione vehicle-to-vehicle. Ciascuna auto sarà in grado di informare le altre su cosa sta facendo e di prevenire un’incidente nel caso sia stata commessa un’infrazione o il guidatore si sia distratto al volante o abbia avuto un malore. Uno degli sviluppi più interessanti dell’Iot è poi la possibilità della manutenzione a distanza. Grazie a specifici sensori montati sui diversi componenti della connected car – dal motore alla carrozzeria fino ai pneumatici – le case automobilistiche o le stesse officine di riparazione potranno monitorare lo stato di salute del veicolo. Si va dalla diagnostica alla correzione di performance dell’autovettura da remoto, all’invio in automatico ai produttori di dati che gli consentiranno di progettare modelli sempre più efficienti. Dati che fanno gola anche alle compagnie di assicurazione le quali, analizzando stili e comportamenti dei singoli automobilisti, saranno in grado di offrire assicurazioni sempre più personalizzate. Per ora l’incognita che aleggia su questi veicoli resta la cyber security. Riuscire a renderli impenetrabile ad attacchi hacker è il prossimo passo.
Car Sharing
Dall’auto di proprietà a quella in comune. Gli spostamenti in futuro avverranno sempre più in modalità sharing. Per ora si tratta di un mercato in fase embrionale sul quale case automobilistiche e startup legate alla mobilità stanno investendo ingenti somme di denaro. Così da offrire servizi e veicoli sempre più tecnologici e a emissioni zero e intercettare una domanda in crescita. Infatti, il numero di utenti che usano mezzi condivisi per spostarsi, soprattutto nelle grandi città, è in costante aumento. Secondo un’analisi realizzata da
McKinsey & Company, nel 2016 il modello di sharing mobility ha generato tra Stati Uniti, Cina e Europa un volume d’affari di quasi 54 miliardi di dollari. A trainare questo settore sono soprattutto gli Stati Uniti e la Cina dove il tasso di sviluppo e più elevato. Molto più indietro si posizionano i paesi del vecchio continente, dove il volume d’affari è stato poco meno di 6 miliardi di dollari. In questo caso a influire negativamente, secondo gli analisti di McKinsey, è un’eccessiva frammentazione sull’offerta di mobilità dovuta a una scarsa collaborazione tra il pubblico e il privato. La tendenza a prediligere l’accesso temporaneo piuttosto che l’utilizzo del proprio mezzo trova il suo fondamento nella volontà da parte delle persone di aderire a nuovi stili di vita che prediligono efficienza, sostenibilità e condivisione. I servizi di sharing mobility, legati alle auto, non comporteranno necessariamente un calo delle vendite o delle spese di manutenzione. Al contrario un maggior uso dello stesso veicolo richiederà una maggiore cura abbassando anche il tempo della sua sostituzione. In compenso, nello scenario di una maggiore diffusione della mobilità condivisa, la presenza di meno veicoli sulle strade consentirà di decongestionare il traffico nelle città, traducendosi in un guadagno di tempo negli spostamenti. I servizi di mobilità condivisa dell’auto oggi più in uso sono il
car sharing e il ridesharing o carpooling. Nel primo caso può essere:
station based (i veicoli sono parcheggiati in apposite aree),
free floating o a flusso libero (le automobili sono dotate di un gps e vengono localizzate con un app e l’utente può prelevarle e depositarle all’interno di un area predefinita),
peer-to-peer (è un servizio fra privati che permette al proprietario di un veicolo di affittare il suo mezzo ad altri utenti). Mentre per quanto riguarda il
carpooling si tratta dell’uso di veicoli privati tra due o più persone che dovendo percorrere lo stesso itinerario, si dividono le spese di trasporto.