Remanufacturing, la seconda vita dei ricambi è un business in crescita. Ma occhio alla contraffazione
di Dino Collazzo
Sostenibilità, riutilizzo ed economicità, sono i pilastri su cui si fonda lo sviluppo del comparto della rigenerazione per automotive. Si tratta di un mercato che solo in Europa vale 7,4 miliardi di euro e che secondo diversi analisti è destinato a crescere nei prossimi anni. Ma a rischiare di inquinare il settore c’è il fenomeno del falso che costa ai fornitori di parti meccaniche, accessori e dispositivi elettrici della Ue una perdita di dieci miliardi di euro ogni anno
Dell’auto non si butta via niente. Un veicolo arrivato alla fine del suo ciclo, prima di essere demolito, può rivelarsi una vera e propria miniera d’oro per le imprese di “remanufacturing”. Che riutilizzando componenti ancora in buono stato possono rigenerare ricambi difettosi e dargli una seconda vita. A rallentare però la crescita di questo mercato – ma vale anche per la ricambistica originale – ci pensa il fenomeno della contraffazione che oltre a danneggiare i marchi costituisce un pericolo sul fronte della sicurezza. La rigenerazione dei componenti di un autoveicolo consente di riutilizzare pezzi ancora funzionanti che altrimenti sarebbero andati distrutti. Infatti, parti del motore, frizioni, pinze freno, sistemi d’iniezione e penumatici vivono una seconda stagione grazie al processo di “remanufacturing”. In pratica partendo da un ricambio esistente – detto carcassa – si possono ricavare pezzi utili per rendere nuovamente efficiente un elemento originale, guasto o difettoso, di un auto o di un truck. Con il risultato di ottenere, rispetto alla produzione da zero di un componete, un risparmio sia in termini economici che ambientale. E quantificabile in un meno 88% di materiali utilizzati, meno 56% di fabbisogno energetico e una riduzione fino al 53% di immissione di Co2 in atmosfera. Il risultato è dunque un prodotto – i ricambi rigenerati vengono sottoposti a test di collaudo ricevendo così un certificato di garanzia – in grado di garantire prestazioni equivalenti in tutto e per tutto a quello nuovo. Si tratta in sostanza di un modello a economia circolare basato sul riciclo a cui sempre più aziende guardano con interesse.
In Europa, secondo una ricerca realizzata da Ern (European remanufacturing network), progetto finanziato dalla Commissione europea, si stima che le maggiori aziende del settore automotive attive nel processo di riciclo e riutilizzo di un prodotto siano 2.363. Con una capacità produttiva in grado di realizzare circa 27 milioni di pezzi rigenerati all’anno – il rapporto tra rigenerazione e nuova produzione è dell’1,1% – per un fatturato che sfiora i 7,4 miliardi di euro. Un dato importante che però se confrontato a quello degli Usa, dove si superano 30 miliardi di euro, mostra come nel vecchio continente si proceda ancora con un ritmo troppo lento. La spiegazione di questa sproporzione non è da imputare però tutta a un ritardo delle imprese europee. Infatti, a spingere in su il fatturato delle aziende Usa sono la maggiore frequenza di sostituzione dei ricambi nelle officine di quel paese, un costo più elevato dei prodotti e un tasso di gradimento per elementi rigenerati più alto tra i fruitori finali. Questa situazione è comunque destinata a cambiare nel volgere di qualche anno. E lo dimostra la dinamicità con cui le imprese del vecchio continente specializzate in rigenerazione e ricostruzione di componenti per autoveicoli hanno iniziato a investire in questo business. Per tenere il passo con i cambiamenti che stanno interessando l’industria automobilistica, i produttori Oe e di primo equipaggiamento Tier one, i rigeneratori indipendenti e i ricostruttori locali devono a destinare una parte delle loro risorse finanziarie al potenziamento d’impianti di produzione, banchi prova, know-how e personale specializzato. In modo da cogliere a pieno le potenzialità del mercato del remanufacturing. Stando a quanto si legge nella ricerca Ern il cuore pulsante dell’economia circolare in questo settore è rappresentato dalla Germania che da sola genera il 32% di fatturato, seguita da Regno Unito e l’Irlanda insieme con il 10,3%, Francia con il 10,1% e l’Italia con il 9,4%. A finire nelle fabbriche di rigenerazione sono motorini d’avviamento e alternatori, servosterzo, sistemi d’iniezioni, trasmissioni e cambio, frizioni, pinze freno, motori completi e penumatici. Componenti le cui unità vengono smontate per essere selezionate, ripulite e rese nuovamente efficienti prima di essere riassemblate in un prodotto simile all’originale. Un processo sottoposto a precisi standard industriali e a una valutazione finale.
Ciò che invece non avviene con i prodotti falsi. Uno dei problemi nel settore dei ricambi – vale sia per quelli rigenerati che per gli originali – è rappresentato dal fenomeno della contraffazione. Un mercato illegale che, secondo gli ultimi dati europei, costa ai fornitori di parti meccaniche, accessori e dispositivi elettrici del vecchio continente una perdita di dieci miliardi di euro ogni anno a cui si aggiungono i pericoli sul piano della sicurezza. Tra i pezzi di ricambio maggiormente falsificati si trovano le pastiglie dei freni, le cinghie, i tenditori e le pompe acqua, fari, fanali e luci targa, pistoni, alternatori e motorini d’avviamento. Fino ad arrivare a candele, spazzole tergicristallo, frizioni e copriruota. Parliamo di un giro d’affari che cresce rapidamente sia nei volumi che nei valori e che ha trovato una sponda anche nelle vendite online. Tra super offerte e maxi sconti i rischi di incappare in ricambi privi di un controllo qualità o di conformità è molto più alto. Si tratta di un sistema sempre più capillare e strutturato. In Italia, che insieme alla Germania ha il mercato del falso più fiorente, il traffico di ricambi non omologati vale all’incirca 120 milioni di euro. Un dato che se confrontato con altri settori, si pensi all’abbigliamento, agli apparecchi e materiali elettronici e agli alimentari, non è certo il più alto, ma che con gli anni ha fatto registrare un forte tasso di crescita che solo online viaggia intorno al 10% l’anno. Muoversi ora che è si è ancora in tempo forse aiuterà a prevenire danni dopo e non solo per l’industria dell’automotive.
In Europa, secondo una ricerca realizzata da Ern (European remanufacturing network), progetto finanziato dalla Commissione europea, si stima che le maggiori aziende del settore automotive attive nel processo di riciclo e riutilizzo di un prodotto siano 2.363. Con una capacità produttiva in grado di realizzare circa 27 milioni di pezzi rigenerati all’anno – il rapporto tra rigenerazione e nuova produzione è dell’1,1% – per un fatturato che sfiora i 7,4 miliardi di euro. Un dato importante che però se confrontato a quello degli Usa, dove si superano 30 miliardi di euro, mostra come nel vecchio continente si proceda ancora con un ritmo troppo lento. La spiegazione di questa sproporzione non è da imputare però tutta a un ritardo delle imprese europee. Infatti, a spingere in su il fatturato delle aziende Usa sono la maggiore frequenza di sostituzione dei ricambi nelle officine di quel paese, un costo più elevato dei prodotti e un tasso di gradimento per elementi rigenerati più alto tra i fruitori finali. Questa situazione è comunque destinata a cambiare nel volgere di qualche anno. E lo dimostra la dinamicità con cui le imprese del vecchio continente specializzate in rigenerazione e ricostruzione di componenti per autoveicoli hanno iniziato a investire in questo business. Per tenere il passo con i cambiamenti che stanno interessando l’industria automobilistica, i produttori Oe e di primo equipaggiamento Tier one, i rigeneratori indipendenti e i ricostruttori locali devono a destinare una parte delle loro risorse finanziarie al potenziamento d’impianti di produzione, banchi prova, know-how e personale specializzato. In modo da cogliere a pieno le potenzialità del mercato del remanufacturing. Stando a quanto si legge nella ricerca Ern il cuore pulsante dell’economia circolare in questo settore è rappresentato dalla Germania che da sola genera il 32% di fatturato, seguita da Regno Unito e l’Irlanda insieme con il 10,3%, Francia con il 10,1% e l’Italia con il 9,4%. A finire nelle fabbriche di rigenerazione sono motorini d’avviamento e alternatori, servosterzo, sistemi d’iniezioni, trasmissioni e cambio, frizioni, pinze freno, motori completi e penumatici. Componenti le cui unità vengono smontate per essere selezionate, ripulite e rese nuovamente efficienti prima di essere riassemblate in un prodotto simile all’originale. Un processo sottoposto a precisi standard industriali e a una valutazione finale.
Ciò che invece non avviene con i prodotti falsi. Uno dei problemi nel settore dei ricambi – vale sia per quelli rigenerati che per gli originali – è rappresentato dal fenomeno della contraffazione. Un mercato illegale che, secondo gli ultimi dati europei, costa ai fornitori di parti meccaniche, accessori e dispositivi elettrici del vecchio continente una perdita di dieci miliardi di euro ogni anno a cui si aggiungono i pericoli sul piano della sicurezza. Tra i pezzi di ricambio maggiormente falsificati si trovano le pastiglie dei freni, le cinghie, i tenditori e le pompe acqua, fari, fanali e luci targa, pistoni, alternatori e motorini d’avviamento. Fino ad arrivare a candele, spazzole tergicristallo, frizioni e copriruota. Parliamo di un giro d’affari che cresce rapidamente sia nei volumi che nei valori e che ha trovato una sponda anche nelle vendite online. Tra super offerte e maxi sconti i rischi di incappare in ricambi privi di un controllo qualità o di conformità è molto più alto. Si tratta di un sistema sempre più capillare e strutturato. In Italia, che insieme alla Germania ha il mercato del falso più fiorente, il traffico di ricambi non omologati vale all’incirca 120 milioni di euro. Un dato che se confrontato con altri settori, si pensi all’abbigliamento, agli apparecchi e materiali elettronici e agli alimentari, non è certo il più alto, ma che con gli anni ha fatto registrare un forte tasso di crescita che solo online viaggia intorno al 10% l’anno. Muoversi ora che è si è ancora in tempo forse aiuterà a prevenire danni dopo e non solo per l’industria dell’automotive.