Aftermarket, per affrontare la rivoluzione “mobile” serve rifondare il proprio business. Ecco alcuni esempi
Redazione
Ad Autopromotec 2017, imprenditori ed esperti del settore hanno discusso, durante l’International Aftermarket Meeting, di quali strategie adottare per rilanciare il comparto dell’assistenza post-vendita. Veicoli iper-tecnologici e iper-connessi necessitano di operatori sempre più qualificati e strumenti all’avanguardia per intercettare le nuove esigenze dei clienti.
Il mondo dell’automotive si evolve e l’aftermarket, se vuole sopravvivere, deve rivedere il suo modello di business. Infatti, di fronte a veicoli sempre più tecnologici e al diffondersi di servizi di sharing mobility, gli operatori del post-vendita non hanno altra strada che migliorare i loro prodotti e la loro offerta. Così da riuscire a intercettare le nuove esigenze dei clienti legate alle loro auto iper-connesse. Un tema su cui imprenditori ed esperti del settore hanno discusso durante l’International Aftermarket Meeting, in occasione di Autopromotec 2017.
I numeri dell’aftermarket
I dati del mercato aftermarket descrivono un 2016 in calo del 3,6% dopo una crescita del 4,3% registrata nel 2015. Numeri che per Gianmarco Giorda, direttore di ANFIA, non devono però destare nessun allarme. “Si tratta di un dato legato al ciclo tipico del settore – ha spiegato –. Se si guarda alla produzione e all’immatricolazioni di autoveicoli, l’Italia sta attraversando un buon periodo. E quest’anno probabilmente supereremo i 2 milioni di immatricolazioni. Ciò ci consente di sperare in meglio per il futuro”. A scendere più nel dettaglio del comparto del post-vendita è stato Marc Aguettaz, managing director di GiPA. Il primo tassello della sua analisi ha riguardato il parco circolante italiano analizzato sia dal punto di vista quantitativo che della sua età. Nel 2016 le auto presenti sulle strade del nostro Paese erano oltre 32 milioni, costituendo un elemento positivo. Il dato negativo è invece rappresentato dalla sua composizione: nel 2017 solo il 16% delle auto ha meno di 3 anni di vita, mentre la quota di quelle con oltre 15 anni è aumentata dal 9% del 2007 al 18%, mentre i chilometri percorsi in media sono rimasti stabili – 12.676 chilometri annui – registrando un lieve aumento del 3,5%.
Ad assistere questi veicoli ci sono 53.229 operatori di cui il 75,3% rientra nel circuito Iam, mentre il 24,7% fanno parte del network degli Oes. Proprio questi ultimi sono quelli che hanno maggiormente risentito della crisi. In particolare i concessionari che hanno visto assottigliarsi i loro margini. La percentuale di ingressi in officina per manutenzione preventiva è scesa fino al 37% del 2013-2014, ma poi è risalita al 41% l’anno scorso contro il 59% di manutenzione palliativa, mentre gli ingressi annui sono diminuiti da 1,9 del 2007 a 1,7 l’anno scorso. E questo perché gli strascichi della crisi economica ha spinto diversi automobilisti a rinviare gli interventi, e di conseguenza le officine hanno fatto meno richieste di ricambi. Un trend destinato a interrompersi. E ne è la prova la ripresa del fatturato dei distributori dei pezzi di ricambio che nel 2016 è stato di 5,2 milioni di euro. «Possiamo dire che il 70% del parco auto nel 2022 è già immatricolato oggi – ha concluso Aguettaz – che negli ultimi anni tutto quello che è avvenuto è stato positivo per l’aftermarket e che il 61% del fatturato è in mano agli indipendenti. Ma anche che sono cresciuti di più i grossi player del settore e che avranno più successo quelli che sapranno riadattarsi in modo vincente».
Sharing mobility e internet of thinghs
Secondo Tim Armstrong, vice presidente Planning solutions di Ihs Automotive, quella che stiamo vivendo “è una seconda rivoluzione nel settore automobilistico. Stiamo passando – ha spiegato durante il convegno – dall’auto come prodotto alla mobilità come servizio”. Ci sono nuove aziende che stanno entrando in questo campo (basti pensare a Uber o Didi) che costringono l’intero settore a ripensarsi, in particolare per il servizio di trasporto a richiesta, che è quello che ha prospettive più interessanti. Ma è un processo che non avviene allo stesso modo in tutto il mondo. “Nei mercati emergenti ci sono il 35% degli utenti attivi in questo settore contro il 10% dei mercati maturi”, ha continuato Armstrong. “Il successo in futuro si misurerà non più dal numero di auto vendute ma col numero di chilometri percorsi – ha precisato – Oggi il mercato dei taxi negli Usa vale 5-6 miliardi di dollari contro i 600 miliardi delle vendite di auto. Ma nel 2040 la quota per i servizi di condivisione potrebbe salire fino al 22% del totale delle spese di trasporto”. Inoltre, le nuove norme stanno favorendo la diffusione dei veicoli elettrici, che costeranno sempre meno e avranno una manutenzione più semplice. “Il modo di fare assistenza deve cambiare – ha insistito l’esperto – diventando sempre più una fornitura di servizi con assistenza venduta per chilometraggio, così come avviene già oggi per gli autocarri”. Matthias Knirsch, director business development di Bosch Automotive Aftermarket, si è invece concentrato sull’importanza della connettività dei mezzi e dell’intero sistema del post-vendita, illustrando alcuni dei sistemi elaborati dalla sua azienda per gestire l’internet delle cose e l’interconnessione dei veicoli. “In futuro tutto il sistema sarà connesso, il veicolo del futuro sarà integrato nella rete tramite sistemi intelligenti che potranno combinare diversi servizi. Questo – ha continuato – comporta opportunità ma anche rischi per gli attuali attori della catena, dal produttore al distributore, fino all’officina”. C’è poi il problema della tutela dei dati: “Il cliente deve poter decidere quali informazioni diffondere e a chi. In Bosch abbiamo sviluppato sistemi di crittografia per garantire queste informazioni dagli attacchi hacker”.
Innovare per rilanciare il proprio business
Arriva dalla TomTom invece l’esempio di come un’azienda ha saputo re-inventarsi per rispondere alle nuove esigenze. “Molti avevano predetto che con l’avvento dei cellulari o di Google Maps TomTom sarebbe sparita – ha sottolineato Sebastian Ruffino, business unit manager di TomTom Bridge – Invece siamo ancora presenti e stiamo influenzando il settore”. Tra gli esempi citati un sistema adottato dai vigili del fuoco di Londra che consente di guidare i mezzi verso l’intervento con tutte le informazioni utili, macchine dedicate alle ambulanze tedesche oppure dispositivi per i mezzi dell’edilizia. “La mobilità connessa è una realtà, bisogna trasformare i rischi in opportunità”, ha concluso Ruffino. “Tutto si sta muovendo in modo molto più veloce di quanto avevamo previsto”, ha aggiunto Fotios Katsardis, presidente e ad di Temot International, colosso tedesco dell’aftermarket. “Nel 2000 avevamo stimato che il 65% dei grossisti avrebbe fatto parte di un gruppo mentre oggi siamo al 75%. Non consideravamo l’e-commerce e sappiamo tutti che sviluppo abbia avuto. Tutto quello che presentiamo oggi diventerà presto obsoleto – ha continuato – Molti sono euforici nel settore perché ci sono potenzialità enormi, ma ci aspetta comunque una bella tempesta. L’aftermarket deve rifondare il proprio modello di business se vuole sopravvivere”.
I numeri dell’aftermarket
I dati del mercato aftermarket descrivono un 2016 in calo del 3,6% dopo una crescita del 4,3% registrata nel 2015. Numeri che per Gianmarco Giorda, direttore di ANFIA, non devono però destare nessun allarme. “Si tratta di un dato legato al ciclo tipico del settore – ha spiegato –. Se si guarda alla produzione e all’immatricolazioni di autoveicoli, l’Italia sta attraversando un buon periodo. E quest’anno probabilmente supereremo i 2 milioni di immatricolazioni. Ciò ci consente di sperare in meglio per il futuro”. A scendere più nel dettaglio del comparto del post-vendita è stato Marc Aguettaz, managing director di GiPA. Il primo tassello della sua analisi ha riguardato il parco circolante italiano analizzato sia dal punto di vista quantitativo che della sua età. Nel 2016 le auto presenti sulle strade del nostro Paese erano oltre 32 milioni, costituendo un elemento positivo. Il dato negativo è invece rappresentato dalla sua composizione: nel 2017 solo il 16% delle auto ha meno di 3 anni di vita, mentre la quota di quelle con oltre 15 anni è aumentata dal 9% del 2007 al 18%, mentre i chilometri percorsi in media sono rimasti stabili – 12.676 chilometri annui – registrando un lieve aumento del 3,5%.
Ad assistere questi veicoli ci sono 53.229 operatori di cui il 75,3% rientra nel circuito Iam, mentre il 24,7% fanno parte del network degli Oes. Proprio questi ultimi sono quelli che hanno maggiormente risentito della crisi. In particolare i concessionari che hanno visto assottigliarsi i loro margini. La percentuale di ingressi in officina per manutenzione preventiva è scesa fino al 37% del 2013-2014, ma poi è risalita al 41% l’anno scorso contro il 59% di manutenzione palliativa, mentre gli ingressi annui sono diminuiti da 1,9 del 2007 a 1,7 l’anno scorso. E questo perché gli strascichi della crisi economica ha spinto diversi automobilisti a rinviare gli interventi, e di conseguenza le officine hanno fatto meno richieste di ricambi. Un trend destinato a interrompersi. E ne è la prova la ripresa del fatturato dei distributori dei pezzi di ricambio che nel 2016 è stato di 5,2 milioni di euro. «Possiamo dire che il 70% del parco auto nel 2022 è già immatricolato oggi – ha concluso Aguettaz – che negli ultimi anni tutto quello che è avvenuto è stato positivo per l’aftermarket e che il 61% del fatturato è in mano agli indipendenti. Ma anche che sono cresciuti di più i grossi player del settore e che avranno più successo quelli che sapranno riadattarsi in modo vincente».
Sharing mobility e internet of thinghs
Secondo Tim Armstrong, vice presidente Planning solutions di Ihs Automotive, quella che stiamo vivendo “è una seconda rivoluzione nel settore automobilistico. Stiamo passando – ha spiegato durante il convegno – dall’auto come prodotto alla mobilità come servizio”. Ci sono nuove aziende che stanno entrando in questo campo (basti pensare a Uber o Didi) che costringono l’intero settore a ripensarsi, in particolare per il servizio di trasporto a richiesta, che è quello che ha prospettive più interessanti. Ma è un processo che non avviene allo stesso modo in tutto il mondo. “Nei mercati emergenti ci sono il 35% degli utenti attivi in questo settore contro il 10% dei mercati maturi”, ha continuato Armstrong. “Il successo in futuro si misurerà non più dal numero di auto vendute ma col numero di chilometri percorsi – ha precisato – Oggi il mercato dei taxi negli Usa vale 5-6 miliardi di dollari contro i 600 miliardi delle vendite di auto. Ma nel 2040 la quota per i servizi di condivisione potrebbe salire fino al 22% del totale delle spese di trasporto”. Inoltre, le nuove norme stanno favorendo la diffusione dei veicoli elettrici, che costeranno sempre meno e avranno una manutenzione più semplice. “Il modo di fare assistenza deve cambiare – ha insistito l’esperto – diventando sempre più una fornitura di servizi con assistenza venduta per chilometraggio, così come avviene già oggi per gli autocarri”. Matthias Knirsch, director business development di Bosch Automotive Aftermarket, si è invece concentrato sull’importanza della connettività dei mezzi e dell’intero sistema del post-vendita, illustrando alcuni dei sistemi elaborati dalla sua azienda per gestire l’internet delle cose e l’interconnessione dei veicoli. “In futuro tutto il sistema sarà connesso, il veicolo del futuro sarà integrato nella rete tramite sistemi intelligenti che potranno combinare diversi servizi. Questo – ha continuato – comporta opportunità ma anche rischi per gli attuali attori della catena, dal produttore al distributore, fino all’officina”. C’è poi il problema della tutela dei dati: “Il cliente deve poter decidere quali informazioni diffondere e a chi. In Bosch abbiamo sviluppato sistemi di crittografia per garantire queste informazioni dagli attacchi hacker”.
Innovare per rilanciare il proprio business
Arriva dalla TomTom invece l’esempio di come un’azienda ha saputo re-inventarsi per rispondere alle nuove esigenze. “Molti avevano predetto che con l’avvento dei cellulari o di Google Maps TomTom sarebbe sparita – ha sottolineato Sebastian Ruffino, business unit manager di TomTom Bridge – Invece siamo ancora presenti e stiamo influenzando il settore”. Tra gli esempi citati un sistema adottato dai vigili del fuoco di Londra che consente di guidare i mezzi verso l’intervento con tutte le informazioni utili, macchine dedicate alle ambulanze tedesche oppure dispositivi per i mezzi dell’edilizia. “La mobilità connessa è una realtà, bisogna trasformare i rischi in opportunità”, ha concluso Ruffino. “Tutto si sta muovendo in modo molto più veloce di quanto avevamo previsto”, ha aggiunto Fotios Katsardis, presidente e ad di Temot International, colosso tedesco dell’aftermarket. “Nel 2000 avevamo stimato che il 65% dei grossisti avrebbe fatto parte di un gruppo mentre oggi siamo al 75%. Non consideravamo l’e-commerce e sappiamo tutti che sviluppo abbia avuto. Tutto quello che presentiamo oggi diventerà presto obsoleto – ha continuato – Molti sono euforici nel settore perché ci sono potenzialità enormi, ma ci aspetta comunque una bella tempesta. L’aftermarket deve rifondare il proprio modello di business se vuole sopravvivere”.