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Maggio 2018

Componentistica auto, crescono le esportazioni nel mondo del made in Italy

di Dino Collazzo

Intervista a Giuseppe Barile, presidente del gruppo componenti Anfia, sul futuro del settore diviso tra: le incognite sui dazi Usa e la Brexit e le opportunità dettate dall’innovazione tecnologica in campo automotive.
La componentistica italiana continua il suo trend positivo. Lo dimostrano i dati pubblicati da Anfia (Associazione 
nazionale filiera industria automobilistica) relativi al 2017.Nell’ultimo anno il settore ha fatto registrare un avanzamento sia dal punto di vista dell’export, con un più 6% rispetto al 2016 per un valore di 21,2 miliardi di euro, che della domanda interna. Una tendenza riconfermata anche nei primi mesi del 2018. Per Giuseppe Barile, presidente del gruppo componenti Anfia (nella foto), il comparto è in una fase di accelerazione dovuta anche alle innovazioni che stanno investendo il mondo automotive. Ma, le incognite sui dazi verso gli Stati Uniti e la questione Brexit pesano sulle scelte future. Così come la necessità di continuare a finanziare Industria 4.0. e gli investimenti su competenze e capacità delle nuove professionalità per affrontare le sfide che attendono il settore della componetistica.
 
Presidente, quali rischi corre la componentistica italiana a causa della politica protezionistica di Trump?
“La politica di Trump influenzerà sicuramente la catena di fornitura. In che modo, dipenderà dagli accordi che verranno stipulati. C’è da dire però che le relazioni commerciali tra Usa ed Europa sono molto forti e ben radicate nel tempo, di conseguenza è difficile pensare che vengano stravolte totalmente. Anche perché l’obiettivo dichiarato dell’amministrazione Usa è quello di controbilanciare l’interscambio con la Cina più che verso l’Europa. Ciò non significa che possiamo abbassare la guardia. La questione dazi non è da sottovalutare. E l’Unione europea deve muoversi in maniera compatta e con una politica unica su questo tema”.
 
In che modo la componentistica ne verrebbe influenzata?
“Prendiamo per esempio il Nafta. Se, come sembra, venisse cancellato e al suo posto venissero poste delle barriere con il Messico la nostra catena di fornitura potrebbe subire un duro calo dell’export. Nell’ultimo anno le nostre esportazioni verso il Messico hanno registrato un forte incremento. E questo perché in quel Paese è concentrata una parte della produzione di veicoli che poi vanno verso gli Stati Uniti. Cancellare il Nafta significherebbe spingere molte produzioni a spostarsi all’interno del mercato americano con il risultato che anche la catena di fornitura dovrebbe spostarsi. Ma con l’adozione di barriere esportare negli Stati Uniti diventerebbe più caro. Si tratta di una questione non di poco conto che, nel lungo periodo, avrebbe ricadute anche sulla stessa produzione statunitense. Alzare una barriera, infatti, significherebbe aumentare i costi di produzione anche negli Stati Uniti”.
 
Non c’è solo la questione Nafta. Un'altra incognita riguarda l’industria automobilistica europea
“Anche in questo caso ciò che accadrà, dipenderà da quelli che saranno gli accordi dal punto di vista doganale. In questo caso Trump ha minacciato di portare i dazi sull’esportazione di auto europee dall’attuale 2,5% al 20%. Considerato che l’Italia esporta veicoli verso gli Usa e che i veicoli prodotti nel nostro Paese utilizzano la filiera della componentistica del nostro Paese, il rischio che una parte della produzione si trasferisca negli Stati Uniti, per aggirare i dazi, comporterebbe di certo un calo di ricavi per il nostro settore. A meno che non si applichino dazi sui trasferimenti da parte della catena di fornitura per l’assemblaggio dei veicoli”.
 
In pratica l’idea di Trump è scardinare gli accordi esistenti e andare a singole contrattazioni con gli Stati.
“Assolutamente sì. La possiamo definire una strategia di “cherry picking”. Trump sa che gli Stati Uniti hanno un potere contrattuale più forte ed è per questo che l’Europa deve rimanere salda e unita altrimenti avremo degli sbilanciamenti interni a seconda delle relazioni specifiche tra un Paese e l’altro”.
 
A preoccupare però la componentistica non ci sono solo i dazi Usa. Più vicino a noi c’è la questione Brexit. 
“Qui il problema è differente. Per la componentistica italiana il Regno Unito è il quarto mercato d’esportazione ed è guidato direttamente dagli OEMs. In Inghilterra ci sono molti costruttori e per ora molti di loro hanno riconfermato gli investimenti. Certo è che se le trattative con l’Unione europea dovessero portare all’adozione di normative in tema di omologazioni ed emissioni differenti tra una sponda e l’altra tanto da costituire delle barriere per l’export, non dubito che gli stessi costruttori potrebbero rivedere i loro investimenti. Qualora questi dovessero delocalizzare dall’Inghilterra i fornitori li seguirebbero”.
 
Sembra che qualcosa in questo senso si stia muovendo?
“Per ora tutti hanno riconfermato gli investimenti. È pur vero che alcuni costruttori inglesi hanno avviato dei progetti fuori dal Regno Unito che prima non avevano. Ora se questi siano una exit strategy oppure se si tratti di semplici investimenti fatti in un’ottica di incremento di volumi è difficile dirlo”.
 
Al di là delle incognite, lei parla anche di opportunità. In che senso?
“Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, la sensoristica per la guida autonoma e l’arrivo dei veicoli elettrici rappresentano tutte delle grandi opportunità per il settore della componentistica. Negli anni la nostra filiera ha saputo diversificare sia la produzione che il proprio portafoglio clienti per rimanere agganciata ai cambiamenti in atto nel mondo automotive. Oggi però occorre fare degli sforzi in più investendo con maggiore continuità in ricerca e sviluppo, in formazione e in competenze. Dall’altro lato, serve anche una vera politica industriale capace di sostenere i settori produttivi del nostro Paese: solo così possiamo sperare di competere alla pari con i nuovi player che si affacciano sul mercato”.
 
Quali dovrebbero essere le misure per una buona politica industriale?
 “La politica dell’Industria 4.0 ha funzionato molto, tant’è che gli investimenti nel settore della componentistica sono aumentati e hanno generato ricavi. È importante che questa misura venga riconfermata perché costituisce un punto di partenza. Ma non basta. Sono necessari anche altri interventi. Pensiamo all’ammodernamento delle infrastrutture o gli investimenti sulla connettività 5G per velocizzare la condivisione dei dati. Il mondo industriale fino a ora ha dimostrato di essere resiliente e di avere una buona capacità reattiva, ma non deve essere lasciato solo. È indispensabile inoltre che come Paese impariamo a investire e valorizzare le nostre professionalità, così da formare personale qualificato e competente”.
 


Fonte: Anfia 




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