Def 2018, debito pubblico in miglioramento, ma l’economia rallenterà
di Matteo Prioschi - giornalista de Il Sole 24 Ore
Il documento di economia e finanza 2018, approvato dal Consiglio dei ministri il 26 aprile scorso, risente della fase d’incertezza politica. In attesa di capire come evolverà la situazione nei prossimi mesi ecco alcuni punti su cui l’eventuale nuovo esecutivo dovrà porre particolare attenzione.
Una doverosa premessa visto il momento di traniszione istituzionale: queste note intendono rappresentare un quadro tendenziale che prescinde dalle iniziative che verranno messe in atto dal nuovo Governo, che proprio in questi giorni è in via di formazione. Il documento di economia e finanza (Def) 2018, approvato dal Consiglio dei ministri il 26 aprile, risente della fase di incertezza politica e di conseguenza, in assenza di un governo espressione delle ultime elezioni, si limita a fare una fotografia della situazione senza individuare eventuali misure che il futuro esecutivo potrà o dovrà adottare alla luce delle previsioni contenute nel Def stesso. Il quadro delineato nel documento, comunque, vede un miglioramento del debito pubblico anche se la ripresa economica registrata negli ultimi tempi sembra già destinata a un rallentamento.
Prima di vedere cosa si prevede succeda nei prossimi anni, è interessante dare un’occhiata a cosa è accaduto dal 2007 in poi, anche perché se quanto contenuto nel Def sarà confermato dai fatti, dal 2019 si dovrebbero fare passi significativi verso una gestione del deficit e del debito dello Stato meno critica. In altre parole, dopo anni in cui il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è cresciuto o è stato stabilizzato, la tendenza dovrebbe invertirsi.
Nel 2007 il rapporto debito/Pil era a quota 99,8 a seguito di una tendenza in diminuzione che era iniziata oltre venti anni prima (nel 1995 il rapporto era di 116,9). Dal 2008 il trend si è invertito e in pochi anni è arrivato nei dintorni di quota 130 (per il dettaglio si veda la tabella qui sotto). Come ricorda il Def di quest’anno, il rapporto è stato stabilizzato a partire dal 2015 poco sopra quota 132. Già nel 2017 si è registrata una leggera diminuzione che quest’anno dovrebbe proseguire per poi diventare più robusta nel prossimo futuro. Un risultato, quello conseguito nel recente passato, che è effetto anche della ripresa dell’economia e della crescita del prodotto interno lordo, il quale, dopo il tonfo in cifre negative registrato nel 2009, ha segnato progressi per quattro anni consecutivi, passando dal +0,1% del 2014 al + 1,5% del 2017. Nella nota di presentazione del Def si sottolinea quindi “il percorso di risanamento delle finanze pubbliche operato nel corso della passata legislatura”.
Questa tendenza al rafforzamento del quadro economico del Paese viene mantenuta nelle previsioni per i prossimi anni, ma non senza incertezze. Infatti si stima che il Pil nel 2018 crescerà dell’1,5% e dell’1,4% nel 2019, per poi calare ulteriormente di un punto decimale l’anno successivo. Dunque la crescita ci sarà ancora ma sarà rallentata. Questo, tuttavia, non dovrebbe bloccare il percorso di risanamento delle finanze, dato che il deficit annuale dovrebbe passare dal 2,3% dell’anno scorso all’1,6% di quest’anno, per poi dimezzarsi nel 2019, mentre l’anno successivo si dovrebbe raggiungere il pareggio. Il rapporto debito/Pil, a sua volta dovrebbe intraprendere una discesa decisa, dato che dal 130,8% di quest’anno si stima di passare al 128,0% l’anno prossimo e poi al 124,7% nel 2020 e al 122,0% l’anno seguente, soprattutto per effetto di una riduzione delle spese.
L’economia italiana, secondo il governo, dovrebbe crescere per effetto di investimenti privati, dell’accelerazione dei consumi, da un recupero degli investimenti pubblici in valore assoluto, e in parte dalle esportazioni nette. Gli interventi effettuati sul sistema bancario, sempre in base al Def, dopo le recenti crisi, hanno determinato condizioni di credito più favorevoli per consumi e investimenti. A questo proposito vale la pena ricordare che le operazioni di salvataggio hanno inciso per 0,4 punti percentuale sul deficit dell’anno scorso.
Queste stime, però, potrebbero essere influenzate negativamente dalla guerra dei dazi, avviata dagli Stati Uniti. Secondo alcune valutazioni del Ministero dell’economia e delle finanze, la conseguenza potrebbe essere una riduzione della crescita di tre punti decimali già nel 2018, per poi raddoppiare negli anni seguenti. Inoltre che la crescita possa essere meno forte di quanto stimato nel Def è emerso pochi giorni dopo dai dati aggiornati pubblicati dall’Istat e, successivamente, dalla relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, chiamato a validare i dati del Def stesso. Si tratta di eventuali ritocchi al ribasso di uno o due decimali. Niente di rilevante, ma comunque una conferma che la crescita registrata negli ultimi tempi sembra già rallentare.
Infine va ricordato che il Def è stato elaborato dando per certo l’aumento previsto dell’Iva, in base a quanto contenuto nelle manovre finanziarie degli anni passati. Dall’attuale 22,0%, l’aliquota ordinaria dovrebbe passare al 24,2% l’anno prossimo, al 24,9% nel 2020 e al 25% nel 2021. In realtà l’incremento dell’imposta risale alla legge di Stabilità del 2015 secondo cui già dal 2016 l’aliquota sarebbe dovuta salire dal 22 al 24% per poi crescere al 24,5% nel 2017 e al 25% quest’anno al fine di coprire le spese. Una progressione che è finora stata posticipata trovando di volta in volta delle coperture in occasione della legge di bilancio di fine anno. Su questo tema sarà chiamato a prendere una decisione il governo che sarà in forza il prossimo autunno. Il rinvio dell’aumento previsto nel 2019 costa 12,8 miliardi di euro di mancate entrate, quello del 2020 oltre 19 miliardi.
Prima di vedere cosa si prevede succeda nei prossimi anni, è interessante dare un’occhiata a cosa è accaduto dal 2007 in poi, anche perché se quanto contenuto nel Def sarà confermato dai fatti, dal 2019 si dovrebbero fare passi significativi verso una gestione del deficit e del debito dello Stato meno critica. In altre parole, dopo anni in cui il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è cresciuto o è stato stabilizzato, la tendenza dovrebbe invertirsi.
Nel 2007 il rapporto debito/Pil era a quota 99,8 a seguito di una tendenza in diminuzione che era iniziata oltre venti anni prima (nel 1995 il rapporto era di 116,9). Dal 2008 il trend si è invertito e in pochi anni è arrivato nei dintorni di quota 130 (per il dettaglio si veda la tabella qui sotto). Come ricorda il Def di quest’anno, il rapporto è stato stabilizzato a partire dal 2015 poco sopra quota 132. Già nel 2017 si è registrata una leggera diminuzione che quest’anno dovrebbe proseguire per poi diventare più robusta nel prossimo futuro. Un risultato, quello conseguito nel recente passato, che è effetto anche della ripresa dell’economia e della crescita del prodotto interno lordo, il quale, dopo il tonfo in cifre negative registrato nel 2009, ha segnato progressi per quattro anni consecutivi, passando dal +0,1% del 2014 al + 1,5% del 2017. Nella nota di presentazione del Def si sottolinea quindi “il percorso di risanamento delle finanze pubbliche operato nel corso della passata legislatura”.
Anno | 2007 | 2008 | 2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Debito/Pil | 99,8 | 102,4 | 112,5 | 115,4 | 116,5 | 123,3 | 129,0 | 132,5 | 132,7 | 132,0 | 131,8 |
Questa tendenza al rafforzamento del quadro economico del Paese viene mantenuta nelle previsioni per i prossimi anni, ma non senza incertezze. Infatti si stima che il Pil nel 2018 crescerà dell’1,5% e dell’1,4% nel 2019, per poi calare ulteriormente di un punto decimale l’anno successivo. Dunque la crescita ci sarà ancora ma sarà rallentata. Questo, tuttavia, non dovrebbe bloccare il percorso di risanamento delle finanze, dato che il deficit annuale dovrebbe passare dal 2,3% dell’anno scorso all’1,6% di quest’anno, per poi dimezzarsi nel 2019, mentre l’anno successivo si dovrebbe raggiungere il pareggio. Il rapporto debito/Pil, a sua volta dovrebbe intraprendere una discesa decisa, dato che dal 130,8% di quest’anno si stima di passare al 128,0% l’anno prossimo e poi al 124,7% nel 2020 e al 122,0% l’anno seguente, soprattutto per effetto di una riduzione delle spese.
L’economia italiana, secondo il governo, dovrebbe crescere per effetto di investimenti privati, dell’accelerazione dei consumi, da un recupero degli investimenti pubblici in valore assoluto, e in parte dalle esportazioni nette. Gli interventi effettuati sul sistema bancario, sempre in base al Def, dopo le recenti crisi, hanno determinato condizioni di credito più favorevoli per consumi e investimenti. A questo proposito vale la pena ricordare che le operazioni di salvataggio hanno inciso per 0,4 punti percentuale sul deficit dell’anno scorso.
Queste stime, però, potrebbero essere influenzate negativamente dalla guerra dei dazi, avviata dagli Stati Uniti. Secondo alcune valutazioni del Ministero dell’economia e delle finanze, la conseguenza potrebbe essere una riduzione della crescita di tre punti decimali già nel 2018, per poi raddoppiare negli anni seguenti. Inoltre che la crescita possa essere meno forte di quanto stimato nel Def è emerso pochi giorni dopo dai dati aggiornati pubblicati dall’Istat e, successivamente, dalla relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, chiamato a validare i dati del Def stesso. Si tratta di eventuali ritocchi al ribasso di uno o due decimali. Niente di rilevante, ma comunque una conferma che la crescita registrata negli ultimi tempi sembra già rallentare.
Infine va ricordato che il Def è stato elaborato dando per certo l’aumento previsto dell’Iva, in base a quanto contenuto nelle manovre finanziarie degli anni passati. Dall’attuale 22,0%, l’aliquota ordinaria dovrebbe passare al 24,2% l’anno prossimo, al 24,9% nel 2020 e al 25% nel 2021. In realtà l’incremento dell’imposta risale alla legge di Stabilità del 2015 secondo cui già dal 2016 l’aliquota sarebbe dovuta salire dal 22 al 24% per poi crescere al 24,5% nel 2017 e al 25% quest’anno al fine di coprire le spese. Una progressione che è finora stata posticipata trovando di volta in volta delle coperture in occasione della legge di bilancio di fine anno. Su questo tema sarà chiamato a prendere una decisione il governo che sarà in forza il prossimo autunno. Il rinvio dell’aumento previsto nel 2019 costa 12,8 miliardi di euro di mancate entrate, quello del 2020 oltre 19 miliardi.