Mobilità intelligente, il futuro è a guida autonoma
Dino Collazzo
Carlo Ratti: " Così cambia il volto della città"
Per Carlo Ratti, architetto e ingegnere, cofondatore dello studio di design e innovazione Cra e direttore del Senseable City Lab al Mit di Boston, i big data, l’internet delle cose e l’intelligenza artificiale possono svolgere un ruolo decisivo per migliorare la nostra vita nelle città, a partire da una nuova idea di mobilità.
Professor Ratti, in che modo le innovazioni tecnologiche miglioreranno la mobilità?
"Le rispondo con un esempio: qualche anno fa al Mit Senseable City Lab abbiamo notato come oltre 170 milioni di corse di taxi nella città di New York possano essere potenzialmente condivise da persone che si muovono sulle stesse traiettorie urbane. Questi dati, elaborati attraverso modelli matematici, hanno dimostrato l’enorme potenziale della mobilità condivisa che a sua volta ci lascia intravedere nuovi scenari in cui il fabbisogno di automobili nelle nostre città potrebbe diminuire".
Non tutte le aree però sono uguali. Se guardiamo all’orografia dell’Italia è difficile immaginare solo spostamenti condivisi.
"Per prima cosa distinguerei tra aree più e meno dense. Nelle seconde, le automobili manterranno un ruolo importante, almeno a breve termine: ma saranno probabilmente automobili elettriche. Nelle aree più dense non credo che l’automobile sparirà, ma diventerà una tra le varie opzioni di un ampio “portafoglio” di mobilità. Questo nuovo scenario potrebbe andare a impattare anche sulla forma delle nostre macchine. L’automobile del Novecento aveva 4-5 posti, anche se per la maggior parte dell’anno era usata soltanto da una o due persone in contemporanea. In un futuro basato sul car-sharing e ride-sharing potremo avere veicoli più piccoli oppure più grandi, come dei minivan che fanno da taxi condivisi. Il mondo dei dati ci permetterà di immaginare una multi-modalità su chiamata con la quale potremo passare da un mezzo all’altro a seconda dei bisogni: automobile, bicicletta, taxi, scooter, bus, treno".
Che impatto avrà il diffondersi dell’auto a guida autonoma?
"Le ricadute più interessanti sono a livello urbano. Il beneficio maggiore non sarà tanto il non dover più tenere le mani sul volante, quanto l’impatto che questi veicoli produrranno sull’infrastruttura stradale. Pensiamo per esempio a un’auto che dopo averci portato al lavoro invece di restare parcheggiata si rimette in strada per dare un passaggio a nostro figlio, al figlio del vicino o a chiunque altro in città. Si andrebbe a creare un sistema ibrido a metà tra trasporto pubblico e privato che permetterebbe teoricamente di ridurre il numero di veicoli in circolazione. Cambiamenti di questo genere potrebbero anche interessare le aree parcheggio. In uno studio sviluppato al Mit a partire dai dati della città di Singapore abbiamo osservato che, in uno scenario con auto autonome, lo spazio destinato ai parcheggi potrebbe diminuire fino al 70%. Immaginiamo come cambierebbe la città se ogni parcheggio non più necessario potesse ospitare un albero o un piccolo giardino".
Una mobilità smart richiede però delle infrastrutture adeguate e sicure e in Italia non è così
"È vero che la rete stradale italiana sente spesso il peso del tempo, tuttavia le automobili autonome e i sistemi di cui parlavamo prima potrebbero permetterci di utilizzare meglio le infrastrutture esistenti, evitando di costruirne di nuove. Potremo aumentare i flussi di traffico senza compromettere la sicurezza, utilizzando quindi meno asfalto e più silicio. Per quanto riguarda la manutenzione la sensoristica potrebbe permetterci di intervenire in modo più mirato. Nel caso di ponti di nuova costruzione è possibile inserire sensori che permettono di raccogliere informazioni sullo stato di salute della struttura. Ma pensiamo ai moltissimi ponti nei quali questo non è possibile: o per ragioni di età, o per ragioni economiche. Ecco allora che diventa fondamentale sviluppare tecniche per una raccolta dati in modi alternativi. Nel nostro laboratorio al Mit, in collaborazione con Anas, abbiamo studiato diversi modi in cui i nostri smartphone, con i loro sensori incorporati in grado di "sentire" le vibrazioni dei ponti, possono aiutare a fornire informazioni per migliore il monitoraggio. Ragionando in ottica di crowdsourcing e condivisione dei dati, credo sia possibile, con costi relativamente modesti, rendere più sicure le nostre infrastrutture".
Professor Ratti, in che modo le innovazioni tecnologiche miglioreranno la mobilità?
"Le rispondo con un esempio: qualche anno fa al Mit Senseable City Lab abbiamo notato come oltre 170 milioni di corse di taxi nella città di New York possano essere potenzialmente condivise da persone che si muovono sulle stesse traiettorie urbane. Questi dati, elaborati attraverso modelli matematici, hanno dimostrato l’enorme potenziale della mobilità condivisa che a sua volta ci lascia intravedere nuovi scenari in cui il fabbisogno di automobili nelle nostre città potrebbe diminuire".
Non tutte le aree però sono uguali. Se guardiamo all’orografia dell’Italia è difficile immaginare solo spostamenti condivisi.
"Per prima cosa distinguerei tra aree più e meno dense. Nelle seconde, le automobili manterranno un ruolo importante, almeno a breve termine: ma saranno probabilmente automobili elettriche. Nelle aree più dense non credo che l’automobile sparirà, ma diventerà una tra le varie opzioni di un ampio “portafoglio” di mobilità. Questo nuovo scenario potrebbe andare a impattare anche sulla forma delle nostre macchine. L’automobile del Novecento aveva 4-5 posti, anche se per la maggior parte dell’anno era usata soltanto da una o due persone in contemporanea. In un futuro basato sul car-sharing e ride-sharing potremo avere veicoli più piccoli oppure più grandi, come dei minivan che fanno da taxi condivisi. Il mondo dei dati ci permetterà di immaginare una multi-modalità su chiamata con la quale potremo passare da un mezzo all’altro a seconda dei bisogni: automobile, bicicletta, taxi, scooter, bus, treno".
Che impatto avrà il diffondersi dell’auto a guida autonoma?
"Le ricadute più interessanti sono a livello urbano. Il beneficio maggiore non sarà tanto il non dover più tenere le mani sul volante, quanto l’impatto che questi veicoli produrranno sull’infrastruttura stradale. Pensiamo per esempio a un’auto che dopo averci portato al lavoro invece di restare parcheggiata si rimette in strada per dare un passaggio a nostro figlio, al figlio del vicino o a chiunque altro in città. Si andrebbe a creare un sistema ibrido a metà tra trasporto pubblico e privato che permetterebbe teoricamente di ridurre il numero di veicoli in circolazione. Cambiamenti di questo genere potrebbero anche interessare le aree parcheggio. In uno studio sviluppato al Mit a partire dai dati della città di Singapore abbiamo osservato che, in uno scenario con auto autonome, lo spazio destinato ai parcheggi potrebbe diminuire fino al 70%. Immaginiamo come cambierebbe la città se ogni parcheggio non più necessario potesse ospitare un albero o un piccolo giardino".
Una mobilità smart richiede però delle infrastrutture adeguate e sicure e in Italia non è così
"È vero che la rete stradale italiana sente spesso il peso del tempo, tuttavia le automobili autonome e i sistemi di cui parlavamo prima potrebbero permetterci di utilizzare meglio le infrastrutture esistenti, evitando di costruirne di nuove. Potremo aumentare i flussi di traffico senza compromettere la sicurezza, utilizzando quindi meno asfalto e più silicio. Per quanto riguarda la manutenzione la sensoristica potrebbe permetterci di intervenire in modo più mirato. Nel caso di ponti di nuova costruzione è possibile inserire sensori che permettono di raccogliere informazioni sullo stato di salute della struttura. Ma pensiamo ai moltissimi ponti nei quali questo non è possibile: o per ragioni di età, o per ragioni economiche. Ecco allora che diventa fondamentale sviluppare tecniche per una raccolta dati in modi alternativi. Nel nostro laboratorio al Mit, in collaborazione con Anas, abbiamo studiato diversi modi in cui i nostri smartphone, con i loro sensori incorporati in grado di "sentire" le vibrazioni dei ponti, possono aiutare a fornire informazioni per migliore il monitoraggio. Ragionando in ottica di crowdsourcing e condivisione dei dati, credo sia possibile, con costi relativamente modesti, rendere più sicure le nostre infrastrutture".